Nata dall’interesse di indagare le potenzialità espressive dei nuovi mezzi tecnologici, la videoarte è una disciplina artistica che utilizza il video come strumento creativo. Trae le proprie origini dall’immissione nel mercato di videoregistratori e televisori tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 del Novecento. Per convenzione si considera data di origine di questa disciplina il 1963, quando Nam June Paik, membro del gruppo Fluxus espone in una galleria tedesca i suoi televisori nella sua prima personale Exposition of Music-Electronic Television.
I PIONIERI
Uno dei pionieri se non il fondatore della video arte è Nam June Paik, artista coreano considerato il primo a trasformare la televisione in un oggetto d’arte, con i suoi lavori TV bra e Tv cello della metà degli anni 60. Strappa in questo modo il televisore dalla dimensione domestica esplorando la stretta relazione tra arti performative e video. Una delle sue opere più conosciute è Tv Buddha che prevede che una scultura di Buddha guardi la propria immagine in diretta in uno schermo posto di fronte a lui. Inscena una sorta di lotta tra l’immagine della meditazione orientale e la tecnologia occidentale oltre che una riflessione sulla percezione di noi stessi nella tecnologia.
Uno dei massimi esponenti della video arte è Bill Viola, artista americano che ha delineato uno spazio nel mondo dell’arte per il video, definendolo un eccellente ed efficace strumento espressivo e riflessivo. Riguardo al video affermerà:
“l’aspetto fondamentale del video non sono le immagini… La sua essenza, a mio avviso, è il movimento, cioè qualcosa che esiste in un momento e si trasforma il momento dopo”.
I suoi lavori sono caratterizzati dall’utilizzo dell’immagine rallentata e la scelta di location storiche nonché suggestive che sfrutta per creare quadri viventi. L’opera Emergence (2002) ne è un esempio, un grande schermo verticale trasmette l’immagine di un uomo che emerge dall’acqua come se rinascesse, la composizione e la scenografia riprendono l’affresco Quattrocentesco “Cristo in Pietà” di Masolino da Panicale creando un dialogo tra passato, presente e spiritualità.
Ultima non per importanza è la videoartista svizzera conosciuta con il nome Pipilotti Rist che ha affermato:
“la videoarte è come una grande borsa: c’è spazio per tutto: la tecnologia, il linguaggio, la musica, il flusso di immagini, la poesia, la commozione, la premonizione della morte, il sesso e l’amicizia”.
Nella sua opera Sip My Ocean, un video proiettato su due pareti adiacenti mostra una donna in bikini che nuota immersa nell’acqua tra le onde mentre oggetti di uso domestico affondano intorno a lei, scena accompagnata dal testo della canzone pop Wicked Game che ripete in modo quasi ossessivo “non voglio innamorami”.
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VIDEO O ARTE?
Ciò che fa del video una forma di produzione artistica, e dunque un’opera d’arte è il suo distinguersi sia dalla televisione che dal cinema da cui trae le proprie origini: si allontana dall’intrattenimento televisivo, e dalla natura socioeconomica dei programmi televisivi, come anche dalla suddivisione in generi e dalla narratività tipica del cinema. Inoltre, fin dall’inizio questa pratica in molti casi si interroga sulla relazione con lo spazio, ne è un esempio l’uso installativo del televisore da parte di artisti come Nam June Paik o l’opera Zidane, a 21st Century Portrait (2006) di Parreno e Douglas Gordon dove l’apparato installativo è fondamentale nella fruizione performativa dell’opera. 17 schermi appesi a mezzaria, ciascuno dei quali corrisponde a una delle telecamere che hanno ripreso il calciatore Zidane durante la partita Real Madrid del 2005, si dispongono nello spazio che il visitatore è invitato ad attraversare creando un proprio percorso e dunque un proprio montaggio del video. Si tratta di un esempio lampante di come la dimensione installativa sia indagata da videoartisti affascinati dall’ espressività e la performatività del medium video.
Alessandra Redondi
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