Erbario: dal latino Herbarius, da Herba: erba, è un libro che contiene i nomi e le descrizioni e le immagini delle erbe, o delle piante in generale, con le proprie proprietà e virtù.
Storia dell’erbario
In Europa la comparsa degli erbari risale almeno all’Antica Grecia. Anticamente se ne occupavano i dottori e gli sciamani che individuavano le piante mediche e quelle velenose. Con il tempo iniziarono ad essere prese in considerazione anche le piante culinarie e quelle decorative.
Nella storia della cultura occidentale, allo studio della vegetazione non si può non affiancare il binomio donne-botanica, che racchiude in sé molta forza e al tempo stesso dannazione.
Nella mitologia egizia e quella greco-romana alle divinità femminili era associato il mondo vegetale. In alcune culture arcaiche nordiche le druidesse erano sacerdotesse che si occupavano della cura delle malattie per mezzo delle erbe. Da questo stato di elevazione, la conoscenza delle proprietà benefiche o malefiche delle erbe da parte delle donne, iniziò a diventare socialmente scomodo, finché non si arrivò ad identificare quest’ultime come delle streghe che andavano perseguitate torturate e messe al rogo, aprendo così il periodo della caccia alle streghe che si verificò in tutta Europa a partire dal tardo medioevo fino a tutto il 1600.
Nonostante questo, privatamente, le donne continuarono a tramandare le loro conoscenze e furono per molti studiosi botanici un gran punto di riferimento. Infatti le maggiori depositarie di conoscenze di medicina popolare erano le contadine che tramandavano il sapere di madre in figlia. Il botanico Brunfels afferma di aver appreso molte nozioni da donne di bassa estrazione sociale e da coloni, lo scrittore Goethe apprese conoscenze erboristiche dalle raccoglitrici di erba della foresta della Turingia.
I primi erbari scritti furono preceduti da secoli in cui la conoscenza delle erbe era basata sull’esperienza diretta e sulla superstizione passando di generazione in generazione per via orale.
Dal IV secolo a.C. fino al XV secolo d.C. venivano realizzati come manoscritti unici, utilizzati per rendere tangibile la tradizione orale e fornire informazioni sulle qualità medicinali e culinarie delle piante, poi con l’invenzione della stampa iniziarono ad essere riprodotti in copie.
Gli anni tra il 1470 e il 1670 per la botanica furono significativi, perché si affermò come disciplina scientifica, e sono questi i secoli rivoluzionari per l’oggetto erbario, ma è appurato che lo studio delle piante è stato storicamente affrontato anche da un punto di vista filosofico e utilitario.
In questo intreccio di pensieri, arte e scienza si incontrano portandosi benefici a vicenda, tra le prime donne che si occuparono di pittura naturalista ricordiamo Maria Sibylla Merian che nel Seicento iniziò ad illustrare in modo innovativo, che possiamo definire ecologico, i suoi studi sulla botanica e sugli insetti creando tavole illustrate in cui i soggetti rappresentati venivano inseriti nel loro contesto ecologico naturale dando una visione più ampia del loro habitat.
Un altro grande progresso scientifico lo diede Carlo Linneo nel Settecento quando introdusse la nomenclatura binomia secondo la quale ogni pianta ha un doppio nome latino il primo indica il genere di appartenenza e il secondo la specie, portando un ordine nella classificazione delle piante ancora oggi in uso.
Erbari illustrati
Dal punto di vista della creazione scritta e illustrata degli erbari, la studiosa del Novecento di storia della botanica e della biologia a cui fanno riferimento queste nozioni è Agnes Arber, che dedicò la sua vita allo studio di erbari illustrati e scritti, per tracciarne una linea temporale dettagliata.
Tra le prime donne ad essere ammessa in un’università inglese, fu di grande importanza per il tracciato di questa storia, infatti grazie alle sue ricerche possiamo comprendere come lo studio della botanica sia dominato da visioni scientifiche, filosofiche e sensoriali che da sempre hanno guidato all’unisono l’evoluzione dell’umanità.
Dal punto di vista illustrativo i botanici ingaggiavano artisti per accompagnare il loro testi con illustrazioni delle piante trattate. La loro storia, però, nell’era dei manoscritti è una storia di degradazione piuttosto che di progresso, infatti inizialmente l’illustrazione botanica era volta a tratti realistici e naturalistici, con l’inizio della diffusione delle stampe le incisioni andarono man mano degradandosi e semplificandosi diventando più simboliche e approssimative, a volte anche solo con una funzione decorativa più che descrittiva, generando imprecisioni rispetto alle nozioni che si stavano spiegando.
Autori di erbari
Nel I secolo d.C. Pedagno Discorde, fu uno dei creatori più importanti di erbari di medicina, caratterizzati da illustrazioni naturalistiche e dettagliate.
Tra i primi erbari del Quattrocento quando nacque la stampa a caratteri mobili ricordiamo l’Herbarium di Apuleio Platonico le cui illustrazioni sono stilizzate e simboliche, per esempio se una pianta era utilizzata come cura dal morso di un animale, veniva raffigurata insieme a quest’ultimo.
Peter Schoffer nel Quattrocento crea xilografie marcate e decorative, con minimi tentativi di realismo.
Nel Cinquecento Jacob Meydenbach, crea lavori di botanica affiancati ad immagini dalla vivida fantasia influenzata dal dai racconti folkloristici e mitologici.
Bartolomeo Anglico scrive descrizioni con tocchi di poesia affiancate da illustrazioni generiche. Peter Treveris, realizza incisioni stilizzate e simboliche e testi influenzati dalle credenze medievali.
Otto Bunfels, sempre nel Cinquecento grazie alle incisioni naturalistiche di Hans Weiditz riacquista il senso descrittivo dell’erbario con un ritorno alla natura rappresentata come appare nella realtà.
Leonhart Fuchs continuando questa fase realistica introduce l’uso del colore nei disegni, aumentando la correttezza delle immagini.
Rembert Dodoens, torna lievemente alla stilizzazione pur restando su un genere di stampe abbastanza naturalistiche.
Charles de l’Ecluse, inserisce nelle sue stampe realistiche la rappresentazione dei funghi, può essere quindi considerato il fondatore della micologia in quanto ritrae e studia i funghi per la prima volta.
Infine tra i più noti di questo periodo ricordiamo Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer, per le loro incisioni precise, realistiche e naturalistiche.
Testo di riferimento: Erbari. Origine ed evoluzione 1470 – 1670, Agnes Arber, Aboca, Sansepolcro, 2019.
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Pittura ad olio
La tecnica della pittura ad olio inizia a diventare comune e diffusa in Occidente a partire dalla seconda metà del XV secolo, distinguendosi per le sue qualità di resistenza all’usura del tempo, brillantezza ed elasticità del colore.
Grazie ai lenti tempi di asciugatura questa tecnica permette di lavorare il dipinto senza fretta e di creare velature che donano profondità alle immagini.
I colori ad olio sono impasti formati principalmente da pigmenti, un legante e un seccativo.
I pigmenti riflettono la luce, e più sono fini più la tinta risulterà luminosa.
Per diluire il colore la sostanza più utilizzata è l’olio di lino che ha un forte potere essiccante ed è quello che offre maggiore resistenza.
Ogni colore, in base a come sono distribuite le percentuali dei pigmenti e delle altre sostanze, ha un grado di copertura differente, che va da totale a parziale a trasparente, questo è importante per sviluppare la tecnica delle velature, iniziando la base con i colori coprenti e andando a creare le sfumature con quelli trasparenti.
Per esaltare questa tecnica è utile conoscere la teoria del colore dell’Ottocento di Wolfgang von Goethe che rivoluziona la teoria di Newton sulla rifrazione della luce, applicandola al modo in cui vediamo il colore nella vita di tutti i giorni.
Goethe indaga il colore studiando la mente umana, capace di riprodurre autonomamente dei colori opposti a quelli che stiamo osservando se distogliamo lo sguardo da essi e guardiamo una parete neutra, e scopre che ogni tinta ha un suo complementare che instaura un rapporto di attrazione e di distanziamento rispetto al primo (ex. rosso e verde, giallo e blu) questo è utile per accostare i colori in modo da creare contrasti e ombre efficaci.
Subito dopo il chimico Michel Eugène Chevreul applica in modo ancora più pratico queste teorie e inizia a classificare i numerosissimi colori esistenti grazie ai tintori di tessuti, in cerchi cromatici graduati associando ad ogni tinta un numero.
Ancora oggi questa tecnica è in uso, infatti la famosissima mazzetta Pantone chiama i colori per numero e non per nome come avveniva nell’antichità.
Inoltre Chevreul si accorge di come due colori accostati tra loro si influenzino a vicenda creando effetti visivi nella mente dell’osservatore, i tintori per esempio si lamentavano che i ricami neri fatti su stoffe colorate non risultavano completamente neri ma grigiastri, questo perché la nostra mente associa le due tinte e le percepisce nel loro insieme, Chevreul denomina questo effetto contrasto simultaneo.
Questa scoperta fu importantissima per i pittori futuri, un esempio sono le audaci ombre sui volti dei dipinti di Gustave Klimt, dalle tinte blu in contrasto con le gote rosse, nel dipingere le ombre grigie come nella realtà il nostro occhio le avrebbe comunque percepite bluastre, in contrasto con il rosso, quindi tanto vale dipingerle di blu ed esaltarne il contrasto.
Testo di riferimento: Cromorama, Riccardo Falcinelli, Einaudi, Torino, 2017.
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