Visioni Oltre 3°edizione

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VISIONI OLTRE
Sabato 1 febbraio – 50 minuti di video a loop dalle 18 alle 21

Edison Balla, “Playhouse”
Viola Casartelli, “Abuse Of Perfect Data”
Noemi Comi, “Demeter”
Alice Dicembrino, “Antipode”
Marie Nicole Gianfrate, “The White Horse Gallops”
Filippo La Vaccara e Danilo Torre, “People and People”
Sonia Marin, “My mom used to call me Sister”
Tamara Payer e Matteo Francesco Fiori, “Poupée”
Francesco Quadri, “Autoritratto Scomposto”
Sabrina Rosenheim, “The Third Space”
Gabriella Sacco, “Portrait of a Mute Man”

Evento in concomitanza della mostra CARTE BLANCHE con IDEM Studio Ruggero Baragliu, Samuele Pigliapochi e Angelo Spatola.

Lo sfondo é tratto dall’ingrandimento di un opera Idem Studio

Serata Cinema video cortometraggi eventi milano corsi galleria d’arte

Testo di Irene Follador
Art Gallery Finestreria di Milano è lieta di annunciare un evento del progetto VISIONI OLTRE (3°edizione), una serata screening in concomitanza della mostra CARTE BLANCHE deli artisti Idem Studio.
Sabato 01 febbraio dalle ore 18.00 la galleria propone la proiezione in loop delle opere videografiche di artist* che hanno partecipato all’open call. Il progetto è a cura di Claudia Ponzi e Irene Follador. 
La serata del progetto VISIONI OLTRE ruota intorno all’identità; tutte le opere videografiche proiettate relazionano il personale con l’auto-percezione in un atto di auto-riflessione, in cui l’individuo cerca di catturare l’essenza non solo del proprio essere, ma anche del sé attraverso il filtro delle proprie esperienze e dei contesti esterni. La percezione che intercorre che ci circonda sono elementi che influenzano la nostra percezione e ogni interazione definisce il nostro senso di identità e appartenenza. La serata perciò propone un loop di opere videografiche che ragionano sulle sfumature del concetto di autoritratto nel contesto contemporaneo. 
Lo screening ha inizio con il video di Edi Balla, Playhouse (2024), un breve video che esplora il legame tra l’immaginazione infantile e le strutture del reale che caratterizzano l’età adulta. Si tratta di un invito a riflettere sull’effetto dei nostri ricordi e dei nostri giochi da bambini sulla nostra visione adulta della realtà. Il bambino attraverso il gioco esprime la propria personalità, come siamo cambiati nel corso delle nostre vite? L’artista indaga questo quesito in un’opera breve ma delicata e lirica.  
A seguire proponiamo Abuse of Perfect Data (2024) di Viola Casartelli un’opera che fonde materiali d’archivio familiare e con un voice over e un sound contemporanei per studiare le discrepanze generazionali. I filmati analogici digitalizzati raccontano di un passato che non ci appartiene più; le riflessioni che nascono dalle componenti sonore ruotano intorno alla frenesia dell’oggi. Il titolo stesso dell’opera rimanda alle tracce digitali imprescindibili che connotano il presente innescando un cortocircuito con l’estetica lontana delle immagini. È il ritratto di una generazione, dell’incertezza e dell’angoscia che l’artista vede nella dimensione personale e collettiva.
La riflessione dell’opera di Noemi Comi, Demeter (2024), ha inizio dal culto degli ex voto – oggetti e manufatti umani creati e offerti alla divinità come segni di gratitudine o come preghiere – in Calabria. L’opera racconta l’usanza dei biscotti votivi (denominati mastazzoli o vutureddhi) che lega i culti pagani e il cristianesimo nel venerare la dea della fertilità, Demetra, affinché essi possano portare cambiamenti positivi o far avverare desideri. Il video esplora questa tradizione con un linguaggio contemporaneo, in cui questi dolci votivi vengono meticolosamente mangiati dall’artista, e che prende ispirazione dai video ASMR di TikTok. Crea così una performance che mina la serietà e l’importanza di culti religiosi oltre a spezzare il legame con una tradizione personale e primordiale. 
Successivamente l’opera di Alice Dicembrino, Antipode (2021), offre un’esperienza visiva tra reale e percezione. Utilizzando un gioco di specchi, il video annulla lo spazio e proietta l’osservatore verso un riflesso infinito con un invito a concentrarsi sui meccanismi del linguaggio ottico. In questo modo il cubo solido diventa simbolo che analizza stati alterati di coscienza; il cubo di specchi è il portale verso l’Antipode, un luogo metaforico dove la mente si auto-riflette e si concentra in un processo di autorappresentazione. L’opera offre una meditazione sulla natura della coscienza e sulla sua capacità di generare realtà alternative al confine tra reale e illusione, tra mondo esterno e mondo interiore. 
Il video di Marie Nicole Gianfrate, The White Horse Gallops (2023), relaziona, attraverso found-footage, diverse testimonianze filmiche di rituali per porre uno sguardo differente sul materiale d’archivio. I filmati d’archivio utilizzati dall’artista sono estratti di: “Les maître fous – Initiation à la danse des possédés” (1949) di Jean Rouch (una cerimonia di possessione in Africa, dove un gruppo di individui viene posseduto dalle figure del potere del colonialismo britannico); “La Taranta” di Ernesto De Martino (un rito di taranta salentina); la ripresa di un rave party preso da YouTube. Il confronto tra queste testimonianze mette in luce come la collettività sprigioni stati alterati di coscienza del sé verso un’evasione dalla quotidianità, in risposta a momenti di crisi storico-sociali. Alla base dell’opera si percepisce lo studio delle ricerche di Georges Lapassade, antropologo francese, che vede la trance in quanto fenomeno di catarsi, di purificazione e di liberazione.
Lo screening prosegue con il surreale cortometraggio, People and People (2023), di Danilo Torre e Filippo La Vaccara, ultimo episodio di una trilogia che affronta le problematiche delle relazioni sociali. In questo terzo episodio, l’atmosfera diventa intima sulle teste scolpite dei personaggi, sulle espressioni e le rappresentazioni. Ogni volto appartiene a un personaggio a sé stante e sottolinea l’importanza di riconoscere l’individualità di ogni persona. Le dimensioni delle teste suggeriscono l’importanza del sé e del personale spesso invisibile. I personaggi si incontrano che lascia un senso di solitudine e nostalgia per le aspettative disattese. Questi ritratti impassibili rispecchiano l’isolamento che scaturisce dalla mancanza di una connessione empatica con l’Altro; gli artisti mostrano la bellezza sconosciuta dell’individuo, a confronto con una società che sembra non essere pronta ad accoglierla.
Il cortometraggio di Sonia Marin, My Mum Used to Call Me Sister (2021), è un ritratto di due donne, figure fondamentali nell’infanzia e nella vita dell’artista, ovvero la nonna materna e sua figlia. L’opera racconta il loro viaggio nella Londra degli anni ‘50, con particolare attenzione nel celebrare la forza delle due nel sopravvivere e adattarsi in quanto immigrate. Nato dal confronto diretto con le narrazioni, il video è una nitida concretizzazione di un vissuto e di una quotidianità che l’artista ritrae e al tempo stesso esplora alla ricerca di senso di appartenenza e di riconoscimento. 
Tamara Payer e Matteo Francesco Fiori con Poupée (2024) sperimentano nel campo dell’animazione stop motion. L’elemento centrale dell’opera è la porta, in quanto simbolo di limite. Intercorre in tutto il video un contrasto tra artificiale e realtà che si manifesta sia nella creazione di un mondo immaginario sia successivamente nella sua frattura ad opera dell’intervento umano. Tuttavia, il tema fondamentale che anima la narrazione è il trauma, personificato nel Creatore; l’opera si configura come una rappresentazione sia di incertezza e di inadeguatezza, che di speranza e di aspettativa durante il processo creativo; nel video infatti il Creatore pronuncia una preghiera a Poupée – la sua creazione – e quindi a sé stesso.
A seguire il cortometraggio di Francesco Quadri, Autoritratto Scomposto (2023), che attraverso filmati d’archivio personale e familiare ragiona sul concetto di “autoritratto scomposto” – così come suggerisce il titolo stesso. Una forma di ritratto che consiste non in una conoscenza aperta e attiva di una persona ma in un’immagine frammentata frutto di assemblaggio di oggetti, testimonianza e ricordi di quell’individuo. Con una narrazione documentaristica, l’artista monta un ritratto di sé dato non dalla sua pura individualità quanto dall’assorbimento e dall’impiego di videotape che lo ritraggono. 
Sabrina Rosenheim con The Third Space (2021) propone un’opera incentrata sulla lingua e sull’espressione di una città multiculturale e multiforme come Londra. Attraverso diverse voci e diverse persone delle comunità di immigrati londinesi, l’artista riprende la teoria sociolinguistica di Homi K. Bhabha su “l’identità e la comunità realizzate attraverso il linguaggio”. Il video è formato da una serie di animazioni dipinte a mano basate su estratti di dialoghi tra coppie, in cui ciascuno parla la propria lingua madre. Il risultato finale va così a sagomare un’estesa conversazione su più lingue che analizza le sfumature e le espressioni in costante evoluzione della società contemporanea.
Chiude la proiezione, il video di Gabriella Sacco, Portrait of a Mute Man (2024), un loop che segue il volo incessante di una mosca all’interno di un’aula scolastica; il volo e le direzioni dell’animale sono imprevedibili e in costante cambiamento. Insieme alle immagini del soggetto, l’artista ha inserito frammenti in sottofondo di un valzer che si scompongono e ricompongono simultaneamente ai movimenti dell’insetto, in un prodotto audio-visivo allegorico dell’incomunicabilità di un individuo con l’ambiente circostante e del derivante vuoto che si percepisce.